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”Principe
dei musici”
Il principe Carlo Gesualdo nacque l’ 8 marzo
1566 da Fabrizio II e Geronima Borromeo sorella di San Carlo.
Seguì a Napoli severi studi ai quali fu avviato dal padre,
discreto letterato e noto mecenate, molto legato ai Gesuiti. All’età di
19 anni Gesualdo pubblicò il primo mottetto,dimostrando fin da giovane una passione enorme per la
musica tale da farlo divenire, uno dei più illustri madrigalisti
di ogni tempo apprezzato in tutto il mondo.
Nel 1586 sposò la cugina Maria d’Avalos,
nata nel 1560 da Carlo, conte di Montesarchio, e da Sveva Gesualdo. Il
matrimonio avvenne il 28 febbraio del 1586 con dispensa del Papa Sisto V, nella
chiesa di S. Domenico Maggiore a Napoli che era situata vicino al palazzo dove
abitava la famiglia Gesualdo. Carlo aveva 20 anni e Maria 26. Dal matrimonio
nacque Emanuele.
Durante una festa da ballo Maria conobbe il duca d’Andria
e conte di Ruvo Fabrizio Carafa di cui si innamorò, benché questi
fosse sposato con Maria Carafa e padre di quattro figli.
I due superavano ogni ostacolo pur di incontrarsi e
non seppero uscire dal ruolo di amanti predestinati. Nello stesso tempo non si
riconoscevano colpevoli, perché per loro era vero amore, un amore talmente grande da
poter affrontare anche la morte, come poi fecero, dimostrando con tale gesto
che da un lato si trattava di vero amore e dall’altro di scegliere la voglia di
purificarsi immolandosi per amore: non suicidandosi, ma facendosi ammazzare per
amore. In questo modo l’alto senso dell’onore col martirio ne esce invitto e
incontaminato, compreso quello del Gesualdo. Quindi gli amanti continuano ad
incontrarsi, perfino in casa Gesualdo, nell’attesa di una vendetta che ormai
entrambi sanno covata e meditata dal principe.
Infatti, il 16 ottobre 1590 il principe avverte Maria
che, insieme ad alcuni suoi servi, andrà a caccia nel bosco
degli Astroni e resterà lontano due giorni. Era solo l’ultima parte di un piano già
preparato in ogni minimo dettaglio.
Nella notte fra martedì 16 e mercoledì 17
ottobre 1590 i due amanti vennero colti in flagrante adulterio nella camera da
letto di Maria e barbaramente trucidati.
Alla violenza omicida Carlo fu, probabilmente suo
malgrado, indotto; e, più che dal risentimento personale, da interessate delazioni che gli imposero
l’obbligo di vendicare, col sangue, l’offesa fatta al suo nome. Le circostanze
lo giustificavano dal punto di vista della legge e del costume del tempo; tanto
che il viceré Miranda, dal quale Carlo si recò immediatamente a dare
notizia personalmente dell’accaduto, lo esortò ad allontanarsi da
Napoli non per sfuggire alla legge, ma per non esasperare il risentimento delle
famiglie degli uccisi. Carlo fuggì da Napoli e si rifugiò nell’inaccessibile
ed inespugnabile castello-fortezza di Gesualdo.
Il processo venne archiviato il giorno dopo la sua
apertura “per ordine del Viceré stante la notorietà della causa giusta
dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo Principe di Venosa ad ammazzare sua
moglie e il duca d’Andria”.
Carlo rimase a Gesualdo finché
non si fu accertato che il risentimento delle famiglie dei d’Avalos e dei
Carafa si fosse sedato. Tutto ciò non gli restituì la
serenità che oramai avrà perso per sempre, perché non c’è nessun testimone così
terribile, nessun accusatore così implacabile come la
coscienza che abita nel cuore di ogni uomo.Dopo tre anni e quattro mesi dal
duplice assassinio si reca, accompagnato da suo cognato Ferdinando Sanseverino
conte di Saponara, dal conte Cesare Caracciolo e dal musico Scipione Stella, a
Ferrara per unirsi di nuovo in matrimonio con Eleonora d’Este.
A Ferrara Carlo non riuscì a legare
con l’Accademia musicale più aristocratica ed esclusiva del tempo che non gli
permise di recitare il ruolo di “primo attore”. Pertanto decise di ritornare a
Napoli lasciando a Ferrara la moglie e il piccolo Alfonsino che da lei aveva
avuto. Ma temendo ancora la vendetta delle potenti famiglie d’Avalos e Carafa,
si ritirò definitivamente, nel mese di giugno del 1596, nel castello di Gesualdo,
fatto ristrutturare tempo addietro. Il castello aveva perso il rude aspetto di
fortezza e divenne una bellissima dimora capace di accogliere una fastosa corte
canora nel vago e vano tentativo di emulare quella di Ferrara.
Nell’ambiente gesualdino fatto di pace, serenità,
di aria pulita e profumata, di panorami vastissimi e di boschi per la caccia,
il principe poté dedicare molto del suo tempo alla musica, per cui oltre ai 4 libri di
Madrigali già pubblicati, compose altri 2 libri che fece stampare nel 1611 a Gesualdo
nella tipografia che il tipografo Gian Giacomo Carlino installò
nel castello. Compose inoltre altri Mottetti, un libro di Responsori, un
Benedictus, un Miserere, un libro di Sacrae Cantiones a cinque voci e uno a sei
voci composte “con artifizio singolare e per sommo diletto degli animi induriti”.Sulla
musica di questo grande musicista, si è commesso, e molti
continuano a commettere, l’errore di interpretare la musica di Gesualdo in
termini autobiografici, limitati ad alcuni episodi, ed in particolare al
tradimento ed all’assassinio della prima moglie. Egli fu certamente uno spirito
introverso, tormentato e maliconico; la vita non gli diede molte gioie e lo
colpì con sofferenze fisiche e psichiche, con delusioni, con perdite dolorose.
Ma non bisogna dimenticare che Carlo era secondogenito (v. albero genealogico
nel libro di Michele Zarrella “Carlo Gesualdo il suo albero genealogico e la sua
città” edito dalla Pro loco Civitatis Iesualdinæ – 1995) e che aveva
avuto una rigida educazione religiosa e musicale. Inoltre era nipote di due
cardinali, di cui uno poi santo, e il padre, discreto letterato e amante della
musica, era molto legato ai Gesuiti ed era mecenate dei musici napoletani più
famosi di quel tempo. Pertanto a parte ogni movente di pia espiazione occorre
vedere nella musica di Gesualdo l’artista ardito ed innovatore. Le sue
combinazioni armoniche trovano riscontro solo nella musica moderna. Il suo
genio musicale, i suoi estremi rivolgimenti cromatici, le sue stupefacenti
invenzioni artistiche consentono alla sua musica eccelsa di dire quello che non
possono dire le parole, tanto da meritare il titolo di Principe dei musici.