Prima di affrontare nello specifico la Messa in si minore
BWV 232, è bene prendere in considerazione una serie di fattori che
permettano di comprendere meglio, non solo le scelte formali, compositive e
strutturali che Bach adotta per la Messa, ma anche per gustare più a fondo la
grandezza di questa opera considerata il testamento spirituale del
compositore.
Al termine del XII secolo con il pontificato di Sergio I, si
stabilisce l'assetto definitivo del rito eucaristico; intorno alla liturgia
della Parola si sviluppa il più grande numero di canti con varie e specifiche
funzioni, suddivisibili in due sezioni: il Proprium missae e l'
Ordinarium missae.
Al primo, il Proprium Missae, appartengono un
insieme di canti il cui testo sottolinea profondamente le tematiche della
celebrazione per cui sono stati scelti, questi canti rimangono così legati a
festività particolari, ad esempio la celebrazione delle festività dei Santi, la
Pasqua ecc.
Abbiamo così i seguenti canti:
Introito: Canto d'ingresso, che introduce l'assemblea liturgica
nel contesto celebrativo, sottolineando le tematiche di fondo del giorno.
Canti del responsorio graduale (Graduale)
Canto salmodico
meditativo (Tractus) nel periodo quaresimale
Acclamazione (prima del canto
del Vangelo)
Questi tre canti sono frutto dell'esperienza gregoriana
sviluppatasi tra il VI-VIII
Offertorio (rito della presentazione del pane e del
vino)
Liturgia sacrificale (comunione)
Alla seconda sezione,
l'Ordinarium Missae, appartengono cinque canti: Kyrie Eleison, Gloria in
excelsis Deo, Sanctus, Agnus Dei, Credo. Il testo di questi rimane invariato
per ogni celebrazione e da modo ai compositori di musicarlo ogni volta in modo
diverso.
Tale fenomeno ha fatto sì che nella produzione musicale liturgica si
accogliessero pian piano stilemi melodici propri di vari contesti culturali,
implicando sperimentazioni compositive, influenze da parte della musica profana,
prassi esecutive diverse.
Questa origine e specificità dei canti del Proprium
e dell' Ordinarium, ha fatto si che per praticità il primo rimanesse legato ad
una tradizione gregoriana, mentre il secondo, in contrapposizione, facesse capo
ad una tradizione polifonica.
Non bisogna dimenticare, prima di
analizzare la Messa in si min, le esperienze di pratica musicale che si
verificano nella storia della musica sacra e profana prima di arrivare a
Bach.
- Nel IX abbiamo la prime testimonianze scritte di un intervento sulle melodie
monodiche per dilatarne la consistenza timbrica, tale prassi è detta
dell'ORGANUM, che accompagna la voce gregoriana con una seconda voce in modo
parallelo a intervalli regolari (8/5)
- Pratiche di polivocalità sono progressivamente elaborate, e dal canto nota
contro nota, si passa a differenziare il ritmo, la durata delle note, con in più
l'aggiunta di una terza voce (omoritmia, poliritmia, contrappunto, notazione).
Dalla fase di improvvisazione si passa all'elaborazione di trattati teorici a
riguardo.
- Nasce definitivamente la polifonia in cui si distingue in modo forte la
produzione liturgica parigina di Notre Dame.
- 1377 Guillame de Machaut, compone interamente una messa.
- Non bisogna sottovalutare l'esperienza fiamminga, che raccoglie attorno a sé
un insieme di musicisti possedenti la tecnica più raffinata.
Lo sviluppo tecnico-compositivo e la sensibilità estetica del
primo '600 favoriscono tuttavia nuovi generi e nuovi stili di musica sacra che
attirano maggiormente l'attenzione e l'interesse di compositori.
Nuove
esplorazioni delle ripercussioni sonore nello spazio architettonico favoriscono
fenomeni come quello dei cori spezzati in Italia settentrionale o della
policoralità tipica della scuola romana (organico: 4 cori, da 4/16 voci).
Lo
stile concertistico strumentale si introduce anche nelle composizioni liturgiche
e grazie alla maestria dei musicisti napoletani si hanno presto ouvertures e
sinfonie orchestrali quali parti integranti della Messa.
Concludendo, si può
dire che la Messa si prepara a divenire una realtà estremamente complessa. Ogni
sua realizzazione dovrà trovare l'equilibrio tra l'espressione autentica della
fede e la manifestazione di una genuina opera d'arte.
Nell'accostarsi a Bach e nel prendere coscienza del mondo
spirituale e culturale che lo circonda è indispensabile sottolineare la funzione
esercitata dall'organizzazione del culto, che è diversa da luogo a luogo, poiché
Lutero, nel fissare le regole fondamentali del servizio liturgico non aveva
inteso rendere obbligatorio una determinata forma liturgica, ma aveva concesso
alle singole comunità di organizzare il culto secondo le modalità a esse meglio
confacenti, nel rispetto dello schema tipico dell'ufficiatura cattolica e
facendo del momento del Sermone, comunque, il punto forza della celebrazione
liturgica.
Non è però soltanto la disposizione liturgica che risente della
Riforma, ma è piuttosto la civiltà musicale intera che acquista una nuova
dimensione, quella dimensione che in ambito cattolico prende il nome del
Palestrina e in campo protestante prende le mosse e il nome stesso da
Lutero.
Lutero non rappresenta tanto la visione d'un rinnovamento del
senso religioso e dell'organizzazione in questo senso, quanto piuttosto la
radicale tendenza conservatrice e restauratrice che riporta alle sue origini
medievali il concetto di cristianità e la sua osservanza.
L'azione di Lutero
in campo musicale si esplica interamente secondo il precetto agostiniano del
doppelt betet wer singt: il canto come preghiera due volte
detta.
Il progetto luterano si articola lungo due sezioni: il
rinnovamento formale e sostanziale della Messa, e l'introduzione del canto in
lingua volgare.
Per ciò che concerne la prima sezione i cambiamenti più
radicali furono:
- Abolizione dell'Offertorio
- Estensione in via generale dell'impiego corale per il Gloria in excelsis
(nella chiesa cattolica esso è cantato a più voci, dalla schola, ma solamente
nelle messe solenni)
- Demandare l'adozione del Gloria all'arbitrio dei vescovi, in quanto nel
missale romanum si omette in tempo di Avvento e nei giorni di Quaresima.
- Si modifica il valore della predica, del Sermone: mentre nella chiesa
cattolica quel momento veniva allora inteso come un elemento estemporaneo,
facoltativo, in quella evangelica esso assume una posizione liturgica
determinata e si pone, anzi, come il punto centrale e fondamentale dell'intero
culto.
Per quanto riguarda invece l'introduzione della lingua volgare
nella celebrazione delle Messa la data importante è quella del 1525, anno in cui
Lutero celebra la Messa in tedesco a Wittenberg.
Con lo scritto
“Deutsche Messe und Ordnung Gottesdienst” del 1526,
Lutero propone e impone una sostanziale modifica del servizio liturgico
praticato sino a quel tempo, coinvolgendo nella riforma anche la parte riservata
alla musica. Si può notare come la tendenza generale, il concetto informatore,
sia quello di concedere alla comunità, il più possibile, un ruolo di preminenza
e di diretta partecipazione al culto.
Così le parti che erano
tradizionalmente affidate all'esecuzione del coro, e cioè Introitus, Graduale,
Pater, Santus, Agnus, tendono a diventare una riserva dell'intera
comunità.
Il culto introdotto da Lutero, non più seguendo il concetto
cattolico del rinnovamento del sacrificio e della immolazione, ma operando in
modo che fra creatura e creatore si realizzasse una perfetta comunione, doveva
consentire il conseguimento dei fini spirituali attraverso i due elementi della
predicazione e del canto, l'uno e l'altro uniti da saldi vincoli: identico era
il fine, diverso il mezzo. Il canto dei Lieder presenta la parola del Signore in
espressioni verbali obbligate, motti, sentenze che penetrano nel cuore del
fedele attraverso il senso dell'udito e che conservando sempre l'identica forma
e sostanza finiscono con l'aver efficacia maggiore.
Anche se con la Messa in si min ci troviamo di fronte ad un
esempio di messa cattolica, quanto sopra detto non deve essere tralasciato
poiché per intendere la reale dimensione storica di Bach si dovrà procedere
partendo non soltanto dagli elementi della biografia personale, ma anche
dall'ambiente in cui quegli elementi si collocano.
Dopo aver toccato
sommariamente i punti basilari dell'espressione liturgica del luteranesimo e le
manifestazioni formali della musica evangelica, sino al momento in cui Bach vi
si aggancia per trarne il sostentamento e per darle slancio e vita, occorre ora
spiare nell'organizzazione sociale della musica, individuare i parametri sui
quali si misura l'esperienza musicale al tempo di Bach.
Non può sfuggire ad
un occhio attento che quasi tutte le espressioni sociali in cui si articolava in
quel tempo la professione musicale sono presenti nella biografia bachiana:
Hofmusikus, Stadtorganist, Hoforganist, Konzertmeister, Kappelmeister,
Kantor, Director musices, una progressione di carriera che da funzioni
modeste si sviluppa a gradi di massima responsabilità con un riscontro di un
progressivo miglioramento del trattamento economico. La musica trattata da Bach
è presente nelle sue principali manifestazioni con la sola eccezione di quelle
legate al teatro; per il resto, Hausmusik, Stadtmusik, Hofmusik, Kammermusik,
Kirchenmusik, sono punti fermi della sua concezione musicale.
La carica
affidata al compositore che interessa a noi più da vicino è quella di Kantor,
ufficio già previsto nella sua duplice funzione pedagogica e direttoriale dalla
chiesa primitiva. Il Kantor rappresenta una delle componenti fondamentali
dell'organizzazione ecclesiastica e civile luterana e, nel sistema scolastico,
s'inserisce al centro della gerarchia dei valori.
Al Kantor, che generalmente
era fornito di un titolo superiore di studio, di grado universitario,
competevano varie attività. In primo luogo quella pedagogica, che si esplicava
nell'insegnamento di discipline scientifiche, del latino, del catechismo, e
nozioni fondamentali della musica. Inoltre la direzione del coro della scuola,
con pratica prima monofonica poi polifonica, e l'insegnamento della
composizione.
Quanto sopra detto può aiutarci a comprendere meglio la
convinzione radicata in molti che la Messa rappresenti un genere musicale
specificatamente legato alla confessione cattolica e che pertanto anche le Messe
bachiane rappresentino un omaggio alla tradizione “romana” e costituiscano una
deviazione dallo spirito e dalla liturgia luterana. Affermazioni del genere sono
a tal punto lontane dalla verità storica che non varrebbe neppure la pena
prenderle in considerazione se esse non fossero troppo diffuse e non formassero
la colonna portante di valutazioni critiche imprudenti, sulle quali si sono
esercitate schiere di improvvisati interpreti del pensiero bachiano.
In
realtà, è sin troppo evidente la constatazione, alla luce delle considerazioni
precedentemente fatte, che il culto luterano è esemplato su quello cattolico e
di questo accetta i formalismi essenziali e principali.
Per effetto della
particolare situazione politico-religiosa del ducato di Sassonia, a Dresda,
capitale, regnava un sovrano che, essendo stato eletto al trono di Polonia,
aveva abbracciato la fede cattolica pur trovandosi nella circostanza di
governare sudditi luterani.
La duplicità della confessione aveva portato alla
creazione di due distinte cappelle di corte, quella cattolica operante
all'esterno del palazzo reale e quella luterana all'interno della reggia. E'
possibile che le Messe bachiane abbiano avuto una duplice destinazione -
luterana e cattolica - tanto più che una di esse, costituente la prima parte
(Kyrie-Gloria) della cosiddetta Messa in si minore, venne inviata e
dedicata al duca August II appena salito al trono sollecitando una nomina nella
cappella di corte (1733), mentre le altre restanti tre parti di quella
monumentale partitura devono essere intese in un senso diverso da quello che può
avere una Missa solemnis cattolica. Tali pagine ebbero un'utilizzazione
nel rito luterano, come è dimostrato ad esempio dal fatto che sono attestate
esecuzione del Sanctus nelle chiese principali di Lipsia sin dal 1724, e
cioè una quindicina di anni prima del suo inserimento nel corpus della Messa in
si minore.
Da circa un secolo e mezzo si è convenuto chiamare questa
monumentale opera con l'espressione “Die hohe Messe in H-moll” o
“Grande Messa in si minore”, un titolo che non compare
nell'originale bachiano e nelle copie coeve, ma che venne attribuito all'opera
da chi per primo ne propose l'edizione a stampa. Si deve ritenere basilare
l'affermazione che l'opera non dovette conoscere, al tempo di Bach,
un'esecuzione globale, e la constatazione che l'opera raccogliesse in sé gli
elementi sparsi di un discorso che venne affrontato non unitariamente, ma a
sezioni ed in tempi diversi.
La nuova cronologia, frutto di un accurato
studio filologico e di critica del testo, fissa al 1724 la composizione del
Sanctus come brano a sé stante: a quella data risalgono
l'autografo della partitura e le parti separate originali. La prima esecuzione
fu il 25 dicembre dello stesso anno, ma la pagina venne più volte
riutilizzata.
Per la Missa (Kyrie-Gloria) non è accertata in
concreto alcuna esecuzione, ma sappiamo che le 21 parti vennero inviate nel 1733
al nuovo duca August II.
Più complessa è la definizione dei termini di tempo
delle restanti sezioni (Symbolum Nicenum, Osanna, Benedictus, Agnus Dei et
Dona nobis pacem). Le pagine in questione vengono datate agli ultimi anni di
Bach (1747-1749), tempo al quale risalirebbe anche la definitiva sistemazione
del manoscritto con la congiunzione in un unico corpo di due tronconi separati
(Missa, restanti parti, più aggiunta Sanctus 1724).
Quello della “confessionalità” è uno dei problemi centrali
dell'esegesi cui è stato sottoposto il corpo dei brani formanti la Messa
bachiana.
Per un verso l'adozione del testo dell'Ordinarium nella sua
totalità depone a favore della “cattolicità” dell'opera; per un altro verso il
fatto che singoli brani siano stati utilizzati in un contesto rituale evangelico
(come per il Sanctus, e probabilmente per il Symbolum Nicenum) confermerebbe
l'idea di una composizione pensata più per il culto luterano, a maggior ragione
se si considera che tutta la produzione vocale sacra di Bach è stata scritta per
le chiese di Lipsia e che è quasi impensabile l'idea di una composizione sacra
rimasta ineseguita.
C'è, naturalmente, la questione della dedica della Missa
al duca di Sassonia, che avrebbe abbracciato il cattolicesimo. Bisogna però
ricordare che alla corte di Dresda erano presenti due cappelle, una cattolica
(la principale) e una luterana. Sembrerebbe strano immaginare Bach in preda ad
una sorta di “abiura” improvvisa, o ad un semplice adeguamento alla confessione
del sovrano, il quale l'aveva accolta per opportunismo politico.
D'altro
canto bisogna sottolineare che la tradizione liturgica cattolica non aveva mai
conosciuto prima uffici liturgici musicali di quella portata (Mozart, K 427 e
Beethoven, Missa Solemnis verranno dopo).
Con ogni riguardo deve essere poi
osservato il fatto che la dedica al sovrano si riferisce esclusivamente alla
Missa costituita da quelle parti che il servizio liturgico luterano ancora
considerava proponibili, immaginando la sostituzione di corrispettivi tedeschi
per la restante parte.
Negli anni poi tra il 1747-1749, in cui è databile la
composizione delle ultime parti della messa e la definitiva sistemazione in un
corpus organico, non si trovano tracce di una intestazione dell'intera opera al
sovrano della corte di Dresda.
La materia, come si vede, offre spunti e
argomentazioni per sostenere tanto la tesi “cattolica” quanto la tesi “luterana”
e consente anche di intendere l'opera in termini di ambivalenza. La sua natura
cattolica emergerà quando si vorrà considerarla nei termini di un corpo
unitario, elaborato lungo un ampio intervallo di tempo, svincolato dalla realtà
storica e quasi isolato in mondo astratto anche se agganciato alla tradizione
della Messa concertata.
Al contrario essa apparirà come una manifestazione
del pensiero musicale luterano quando la si interpreterà a segmenti separati,
ciascuno dei quali destinato a non ricoprire un unico servizio liturgico, bensì
a soddisfare esigenze specifiche delle grandi festività in cui era consentito
praticare la polifonia applicata ai testi latini dell'Ordinarium.
Prima di analizzare più da vicino alcune delle parti della
Messa in si minore, è bene spendere due parole sulla tecnica compositiva e
formale che Bach adotta.
Non è eccessivamente imprudente sostenere che quasi
tutti i 25 numeri di cui consta la partitura non sono pagine originali, ma
parodie o adattamenti più o meno rilevanti da opere precedenti. Tenendo conto di
ciò, tanto più appare mirabile l'opera bachiana, se si considera che essa è
tutta o in gran parte il frutto di un montaggio razionale e perfettamente
equilibrato che sul piano dei risultati musicali s'impone come creazione
originale e unica. L'opera è di quelle che più apertamente manifestano, nella
sua quasi esasperata monumentalità e nella sua irripetibile polivalenza, la
concordia delle idee, l'armonia dei gesti, il razionale patto di alleanza che
compone ogni interna contraddizione.
Dando uno sguardo al prospetto si può
notare che il peso maggiore è sostenuto dal coro, al quale sono affidati
interventi stilistici molto differenziati, ma sempre sostenuti dal concerto
degli strumenti realizzato spesso in modo trionfalistico.
ORGANICO: soprano I e II, contralto, tenore, basso, coro, 2
flauti, 3 oboi, 2 oboi d'amore, 2 fagotti, corno, 3 trombe, timpani, archi,
basso continuo.
Veniamo ora all'ascolto di alcuni brani della Messa. E' il
numero BWV 232 dell'elenco delle opere bachiane. La ascolteremo nell'esecuzione
del 1998 diretta dal maestro Diego Fasolis, con l'Orchestra dei Sonatori de la
Gioiosa Marca ed il Coro della Radio Svizzera (voci soliste: Roberta Invernizzi,
Lynne Dawson, Gloria Banditelli, Christoph Prégardien, Klaus Mertens). La
registrazione è stata diffusa dalla rivista Amadeus.
Traccia 1:
9'11
Kyrie eleison (coro)
La Messa si apre con l'esecuzione da parte del coro a 5 voci ed
orchestra, con una delle pagine più imponenti dell'intera composizione.
Caratterizzata da grave solennità propone il motto di 4 battute eseguite dal
coro con la triplice enunciazione del testo liturgico “Kyrie eleison”, in
blocchi sonori compatti, ma connessi allo stesso tempo dallo sfasamento
contrappuntistico delle voci (i soprani portano avanti
l'enunciazione).
Significativa la mancanza delle solenni trombe, utilizzate
in questa messa in occasioni di glorificazione a Dio.
Il sentimento di
cordoglio funebre anima l'interludio orchestrale che segue, guidato dai legni.
Questo sta quasi a rappresentare simbolicamente il peccato (momento di
riflessione).
Bach esprime la schiavitù del peccato con la combinazione della
tonalità minore, del timbro scuro del flauto e dell'oboe d'amore e dell'uso di
intervalli dissonanti e cromatici.
Il tema proposto dall'interludio
strumentale diviene poi cellula melodica del Kyrie eseguito da tenori e
bassi.
Il procedere delle parti è solenne, tortuoso e professionale, in
costante progressione verso l'alto, caratterizzato in modo evidente dal timbro
chiaro ed acuto dei soprani, i quali hanno un ruolo da protagonisti in quanto a
loro sono affidate 2 delle 5 voci corali, che introducono i momenti più intensi
in un'atmosfera che potrebbe sembrare sin troppo monotona e quieta.
Si passa
poi ad un secondo interludio strumentale riservato ai 2 oboi d'amore
accompagnati da BC, fagotti e archi.
La seconda enunciazione è questa volta
svolta da bassi e non dai tenori, seguiti poi dalle voci femminili.
Traccia 2: 5'05
Christe eleison (Duetto:
soprano I e II)
Questo secondo brano è in forma di duetto affidato ai due
soprani, per contrasto ai due blocchi; è un brano luminoso, trasparente. Tale
forma musicale nelle altre parti della messa è richiamata in coincidenza di
testi che riguardano la secondo persona della Trinità.
Le voci procedono a
distanza di terza con l'unisono dei violini; il micro testo è intonato ogni
volta in diverse tonalità, introdotte da un ritornello orchestrale. Le tonalità
in cui si modula sono tutte prevedibili, ma ciò non rende meno efficace
l'espediente espressivo che Bach adotta.
Segue poi il secondo Kyrie, con coro
a 4 voci, nella tonalità di fa # minore, in stile fugato.
Per quanto riguarda il Gloria è possibile suddividerlo in otto
episodi (4 coro, 4 solisti), come appare dal prospetto. Parrebbe difficile
riconoscere a prima vista un progetto organico prestabilito, eppure l'analisi a
cui è stato sottoposto il corpo, lo mostra risolto come tale.
Analizzando il
testo è possibile dividerlo in 2 parti; la prima (dal Gloria al Domine
Deus) che consiste in una serie di lodi al Padre e al Figlio; la seconda
invoca l'intervento misericordioso del Figlio e si conclude con la
riaffermazione del principio trinitario. La forma musicale che caratterizza
l'intero Gloria è quella dell'inno.
Ascoltiamo allora alcuni brani dal Gloria.
Traccia 4 e 5: 5'60
Gloria in excelsis
Deo (coro)
Et in terra pax (coro)
La temperatura è elevata nel tripudiante Gloria
d'apertura a 5 voci, introdotto dalle inneggianti trombe, seguito poi
dall'eterea fuga dell' Et in terra pax. La tonalità è re maggiore, la cui
relativa è la tonalità d'impianto della Messa. Tale pezzo sinfonico/corale è un
imponente spiegamento di forze, tutto l'organico al completo con il concertante
della prima tromba. Tale parte venne utilizzata da Bach nella Cantata 191
del 1725 e in origine concepito come un tempo veloce di un concerto.
Timpani
e trombe interrompono la loro esecuzione per il Et in terra pax, guidando
l'atmosfera musicale verso un disegno più disteso e tranquillo, sottolineato
dall'insieme di appoggiature eseguite dal coro, che il I soprano trasformerà in
fuga. L'appoggiatura evidenzia un'accentuazione particolare della frase musicale
dall'efficacia espressiva.
Traccia 6: 4'20
Laudamus te (Aria:
Soprano II)
Tre sono le arie del Gloria, tutte affidate ad una voce solista
che duetta con uno strumento; nel primo caso un violino, nel secondo con l'aria
Qui sedes ed dextram Patris un oboe d'amore, nel terzo con l'aria
Quoniam tu solus sanctus con il corno da caccia. In tutti i casi c'è
sempre l'orchestra che svolge il compito d'accompagnamento.
L'aria del
Laudamus è aperta da un vasto a solo concertante del violino, di
evidente virtuosismo strumentale che anticipa la complessità vocale (33 note 5
trilli); la tonalità è di la maggiore.
Traccia 8: 5'35
Domine Deus (Duetto:
soprano I e tenore)
Un ampio duetto che riporta il discorso musicale ad un clima di
suggestiva intimità, esaltata dalla raffinatezza timbrica dell'accompagnamento:
flauto traverso obbligato, archi superiori con sordino, bassi in
pizzicato. Il flauto espone un tema semplice e diretto su cui le voci si
esibiscono ora in imitazione ora omoritmicamente. Le due voci – acute -
propongono dapprima simultaneamente le proposte dei due testi e conducendo il
discorso in imitazione; sull' Agnus Dei, invece, procedono in perfetto
parallelismo e su un unico testo.
Anche qui, come nel duetto del Christe
eleison, vi è l'impiego simbolico dei due cantanti, a significare il Padre e
il Figlio, cui il testo fa riferimento: ai due viene affidata simultaneamente
l'acclamazione a una delle persone della Trinità creando così un intrigante
effetto di politestualità.
Fatto non trascurabile è l'aggiunta della parola
altissime all'espressione Domine Fili unigenite Jesu Christe: la
parola non trova riscontro nel Missale Romanumm, ma figura come tropo nel
Graduale della chiesa di San Tommaso di Lipsia.
Ascoltiamo ora dei brani dal Symbolum Nicenum
La distribuzione della materia nel Symbolum Nicenum
obbedisce a criteri del tutto diversi al Gloria, essendo dominato da
strutture architettoniche rigorose e fra loro corrispondenti.
Tracce 1-2: 2'14
Credo in unum Deum
(coro)
Credo in unum Deum Patrem omnipotentem
(coro)
Questo brano per coro a cinque voci e 2 violini concertanti
corrisponde in senso vero e proprio alla forma musicale di mottetto a 7 voci (5
vocali, 2 strumentali) con basso continuo. In senso tecnico la pagina funge da
“intonazione”, sostituendo il celebrante al quale, secondo la liturgia, sono
affidate le prime parole del testo (senza Patrem).
La realizzazione
mottettistica bachiana s'ispira a modelli arcaici (Monteverdi) e utilizza un
tema a valori larghi affidato al coro e ai due violini; queste sette parti
procedono secondo uno stile contrappuntistico rigorosissimo, ma all'imitazione
che governa le parti vocali si aggiunge una figurazione ostinata del basso
continuo.
La sezione conclusiva viene solennizzata dall'apporto celebrativo
di trombe e timpani, stesso organico utilizzato per il Gloria.
Traccia 4: 2'48
Et incarnatus est
(coro)
Capolavoro di intima, sacrale intimità per coro a 5 voci, 2
parti di violino e basso continuo. Si apre con una piccola introduzione
strumentale affidata al continuo e ai violini, che presentano la tonalità
d'impianto di si minore, calandoci così in una atmosfera ineludibilmente
espressiva.
Di grande effetto sono le appoggiature dei violini che
accompagnano il coro che si mantiene sempre su una dinamica che oscilla dal
pp al p. Questa atmosfera ci riporta più indietro allo Stabat
Mater di Pergolesi, e più avanti nel tempo al Lacrimosa del
Requiem di Mozart.
Si deve notare come la curva discendente del tema
rimandi al mistero dell'incarnazione, appunto alla discesa di Dio nella carne,
con una tragicità patetica che prelude alla teologia della Croce.
Traccia 6: 3'41
Et resurrexit
(coro)
Di spirito completamente contrapposto è il festivo Et
resurrexit, che celebra la resurrezione di Cristo con un tema affidato
all'intero coro a 5 voci ed orchestra al completo.
Forse è derivato da un
lavoro profano. Il coro si divide, nella sua perentorietà ritmica, tra
esecuzioni omofoniche e contrappuntistiche. Il brano è suddivisibile in due
sezioni intervallate da un ritornello strumentale nel quale sono escluse le
trombe; queste si trovano come protagoniste nella conclusione strumentale, alle
quali è affidato un duetto.
Veniamo ora al Sanctus.
Traccia 10: 4'20
Sanctus
(coro)
Come già detto il Kantor ha ripreso senza modifiche un
Sanctus composto nel 1724 e più volte eseguito dei giorni del Natale e
della Pasqua di anni successivi. La composizione si presenta a 6 voci (2SS 2AA)
e dotata di un organico strumentale superiore rispetto alla prima sezione della
Messa. Il brano si apre con un incedere solenne e grandioso che contrasta
dinamicamente con la fuga del Pleni sunt in coeli. La prima sezione è
dominata dalla figurazione ritmica della terzina che permette uno scioglimento
tematico più fluido e coinvolgente e si colloca come nuovo elemento di contrasto
con la seconda parte guidata da ritmica regolare.
Infine l' Agnus Dei
Tracce 14-15: 9'04
Agnus Dei
(alto)
Dona nobis pacem (coro)
Il numero conclusivo dell'Ordinarium viene suddiviso da
Bach in due sezioni rigorosamente separate: un'aria per contralto e una parte
corale che intona l'ultimo versetto del testo liturgico.
L'intensa esecuzione
del contralto, nella tonalità di sol minore, procede senza fretta, appoggiandosi
a lungo sulle parole-chiave del testo (Dei; tollis; peccata; mundi).
Strumentalmente ci sono due elementi che sono in contrasto: gli “affetti”
dolenti del basso continuo e le luminosi parti dei violini che procedono
all'unisono.
La Messa in si minore si chiude con una sorpresa, a suprema
conferma di quel trionfo della parodia. Il Dona nobis pacem consiste
infatti nella ripresa di un pezzo preesistente, già impiegato in una Messa del
1733. L'organico grande viene mobilitato, prevedibilmente, per concludere il
capolavoro con un fugato mottettistico il cui protagonista è il coro, coadiuvato
nella sfolgorante sezione conclusiva dal clamore delle trombe e timpani.
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