lunedì 30 novembre 2009

Walter Gieseking interpreta Mozart: Vol 3



Walter Gieseking: sonate complete per piano di Mozart Volume 3











Scarica qui il terzo volume di Mozart interpretato da Walter Gieseking



Disco 1 lato A:
Sonata in fa maggiore K.332
Otto variazioni in la maggiore K.460

Disco 1 lato B
Sonata in do maggiore K.545
Dodici variazioni in mi bemolle maggiore K.354
Fantasia in do minore K.396

Disco 2 lato A
Sonata in do maggiore K.330
Rondo’ in re maggiore K.485

Disco 2 lato B
Sonata in do maggiore K.309
Otto variazioni in fa maggiore K.352
Capriccio in do maggiore K.395

Disco 3 lato A
Otto minuetti con trio K.315a
Allegro dalla sonata in si bemolle maggiore K.400

Disco 3 lato B
Dalla sonata in si bemolle maggiore K.498a
Sei danze tedesche con trio K.509


WALTER GIESEKING INTERPRETA MOZART
63 lavori per pianoforte di Mozart suonati da Gieseking furono realizzati in origine su dischi Angel alla fine del 1954, in una sontuosa e limitata edizione da vendersi al prezzo complessivo di 75 dollari. Era la miglior commemorazione anticipata del 200° anniversario della nascita di Mozart che si sarebbe celebrato in tutto il mondo nel 1956. Sul Chicago Sunday Tribune del 9 gennaio 1955 Claudia Cassidy scriveva: “E’ una cosa meravigliosa avere immediatamente a portata di mano tutti i lavori per pianoforte di Mozart, l’importante e l’insignificante, il grande e il piccolo (per Mozart). E averli suonati da un maestro dei musicisti che sia anche un grande pianista non guasta assolutamente... L’album é ricco per un’esecuzione meravigliosa di grande virtuosismo”. . Herbert Kupferberg affermava nel New York Herald Tribune: “Solo il più grande degli artisti può essere capace di contrapporsi alle dinamiche meravigliosamente proporzionate di Gieseking, alle sue delicate sfumature, alla sua abilita nel reggersi con solo il semplicissimo uso del pedale, al suo artificio che dissimula 1’arte... questi undici dischi contengono un po' della più bella musica per pianoforte che mai sia stata scritta e suonata in modo completamente bello”. ll Boston Post definiva l’album “uno dei preminenti raggiungimenti dell’industria discografica”. Il Philadelphia Daily News acclamava “la perfetta unione: il tocco di Gieseking e la mobile grazia di Mozart”. Nel gennaio 1956 la pubblicazione a programma Carnegie Hall osservava: “Questo mese la parola d’ordine per la Angel Record e M come meraviglioso... I 63 lavori per pianoforte solo di Mozart interpretati da Walter Gieseking era nella lista del meglio dell’anno per ogni recensore che ricapitolasse il 1955 in disch”. Le sedute di registrazione erano cominciate nel luglio 1953 nello studio della EMI di Abbey Road, a St. ]ohn’s Wood, Londra (di recente reso immortale dai Beatles). Continuarono per tutta l'estate con alcune sedute conclusive nel dicembre seguente; alla fine risultarono 38 in totale della durata che andava dalle due alle tre ore ciascuna. Circa la sua esecuzione musicale Gieseking scrisse queste note per l’Edizione Speciale De Luxe: Può sembrare paradossale, ma la mia opinione sulla musica pianistica di Mozart é descritta meglio quando dico che é, al tempo stesso, la musica più facile e la più difficile da eseguire correttamente. Da un lato essa non ha bisogno di sforzi particolari. E' completamente naturale e semplice suonare Mozart. D’altra parte potrebbe dirsi molto difficile per un musicista raggiungere quel grado in cui il comando tecnico, il sentimento musicale e tutte le facoltà mentali e fisiche siano cosi armoniosamente coordinati da far si che le dita obbediscano con il necessario grado di sicurezza agli impulsi dell’espressione suggerita dal corso naturale e dall’incantevole bellezza delle linee melodiche di Mozart. Naturalmente, quando dico “senza sforzi particolari” significa che la completa concentrazione sul compito di eseguire una composizione è dato per scontato come una condizione sine qua non, e che la massima attenzione sia concessa ad ogni dettaglio della tecnica, del valore musicale e del senso espressivo; questo in ogni momento e senza interruzione alcuna. Ma non tutti i compositori rendono molto facile procedere da questa concentrazione allo - posso dire benedetto e felice?- stato di comunione o identità o, almeno, alla illusione di identità fra compositore ed esecutore. Per Mozart la musica deve essere stata normale e istintivamente naturale come il respirare. La facilita e la perfezione del suo comporre collocano i suoi lavori al di sopra dell’umana debolezza, al di sopra della laboriosità terrena; li rendono tali che uno e obbligato a parlare di sovrumano, di metafisico o, semplicemente, come della bellezza della natura trasferita in suoni!

Ora, il musicista che cerca di ricreare le ispirazioni _di Mozart al maggior livello possibile per i suoi ascoltatori, deve anche essere, fin dove sarà possibile, al di sopra non soltanto dei problemi tecnici, ma anche al di sopra del bisogno di speculazione, riflessione o di qualsiasi tipo di lavoro cerebrale. Non ci deve essere nessun calcolo di possibili effetti e un’idea aprioristica di interpretazione. La semplice e naturale bellezza della musica di Mozart che copre, nonostante la sua apparente semplicità (0 la chiameremo l’abile economia di un vero genio?), una così ampia gamma di emozioni e di espressione, deve essere ricreata nel più semplice e naturale dei modi, senza nessun altro aiuto o incentivo che il sentimento di ammirazione e, forse, di felicita che si sprigiona da una musica cosi bella. Io posso confessare che nei pochi lavori facenti parte del mio repertorio concertistico prima di queste incisioni, i lavori che avrei dovuto conoscere meglio di tutti gli altri, trovavo qualche difficoltà. Avendo perduto la completa freschezza dell’avvicinamento, non potevo ritornare immediatamente al piacere spontaneo e ispirato, alla indipendenza del sentimento, che furono un cosi grande aiuto in tutta la musica che io avevo letto e studiato cosi da prendere ben conoscenza di ogni dettaglio. Mozart non é tecnicamente un problema per dita sensitive, per dita abituate a trasferire nel suono gli impulsi dati dall’intimo sentire, dita che sappiano come cantare e respirare naturalmente in relazione con le tonalità pianistiche.

L’ascoltatore può decidere fino a che punto sono stato capace di realizzare le mie, o meglio, le intenzioni di Mozart. In ogni caso, spero che le mie incisioni porteranno ad altri un po' di quel piacere spontaneo e di quella gioia profonda che diede a me la musica di Mozart. Tecnicamente, posso dire di non aver quasi toccato il pedale destro dato che questo espediente non era stato inventato o era stato appena adattato a certi pianoforti quando Mozart scrisse la sua musica; quindi mi e sembrato che egli avesse concepito la sua musica senza prendere in considerazione le possibilità degli effetti del nuovo pedale. Gli arpeggi e gli accordi sonori più pieni sono tenuti in sospeso con le dita, spesso finché non cambia l’armonia, essendo questo il significato originale per eseguire il legatissimo. Ma lasciatemi ripetere che questi dettagli tecnici non sono il risultato di speculazione o studi storici, sebbene alcuni esperti europei confermino il mio sospetto che Mozart usasse i pianoforti senza il pedale che noi oggi chiamiamo il pedale destro. Il mio desiderio di una estrema chiarezza, che sentivo essere necessaria per una corretta esecuzione di Mozart, fu la ragione decisiva per suonare senza pedale; o, per essere più preciso. per usare il pedale destro con parsimonia, senza produrre nessun effetto di pedale. Alle mie orecchie, anche una sola nota suona diversa quando é suonata con il pedale (con rilavanti smorzature), la risonanza di tutte le corde accordata con gli ipertoni o con i toni dello stesso accordo che da qualcosa di velato, qualcosa di romanticamente sovraccarico (non vorrei dire impuro) anche a una singola isolata nota. Un tono puro e chiaro non é secco, anche se può sembrare cosi sulle prime alle orecchie abituate all’abbondanza di pedale. E io sono personalmente convinto che la chiarezza di tono e la bellezza dell’espressione non sono incompatibili, proprio come la perfezione della forma classica non diminuisce il potere dei più profondi sentimenti di un compositore. L’astinenza di Giescking dall'uso del pedale era il controllo della dedica totale, dato che Gieseking era il maestro del pedale di questo secolo. Ne fece un uso incessante, come riportava Jan Holcman in Saturday Review, “fino a che egli riusciva a produrre suoni-effetti in una gamma sconosciuta prima... L’uso di una complicata pedaliera, controllato da un acuto udito e da una tecnica precisa, produceva notevoli effetti: il pedale veniva trasformato da un mediocre ritoccatore in un colorista pieno di abilita”. Come risultato, Gieseking divenne un insuperabile interprete di Debussy e di altri impressionisti francesi. Gieseking era nato a Lione, in Francia, nel 1895 da genitori tedeschi. Comincio a suonare il piano a quattro anni ma, secondo il desiderio di suo padre, fu fermamente impedito nella carriera di bambino prodigio. Infatti, il ragazzo non cominciò uno studio sistematico che nel 1911 quando entrò al Conservatorio Municipale di Hannover per studiare con Karl Leimer. I suoi studi finirono cinque anni dopo quando si unì all’esercito tedesco nella prima Guerra Mondiale; ma dal Conservatorio egli riceveva quel1’istruzione che doveva essere il fondamento della sua arte fenomenale. Con Leimer egli imparo la concentrazione e la distensione, e sviluppò la sua facilita fantastica per mandare a memoria le partiture. Egli sostenne sempre che queste conquiste gli risparmiavano tutto all’infuori di un minimo di pratica. “Feci tutta la mia pratica al C0nservatorio», disse una volta, “La cosa più difficile per imparare a suonare il piano é quella di allenare le dita a suonare uniformemente perché sono di lunghezza diversa. Ma una volta che ciò sia diventato automatico, il resto é una questione di cervello. La memoria é una cosa importante dopo che uno ha perfezionato la sua tecnica”. Tappe della sua prima carriera furono il debutto a Berlino nel 1920, la sua prima apparizione in Inghilterra nel 1923 e, dopo una tournée attraverso le capitali d’Europa, il suo debutto americano il 10 gennaio 1926. La sua carriera fu punteggiata da numerosissimi concerti e da molte incisioni, sebbene ci fosse un’interruzione nella serie delle sue apparizioni americane fra il 1938 e il 1953 come conseguenza della sua permanenza in Germania durante la seconda Guerra Mondiale. Finalmente quando ritorno con un recital alla Carnegie Hall il 22 aprile 1953 il pubblico che esauriva il teatro gli diede il benvenuto con una calda ovazione. Nel dicembre 1955 mentre viaggiava da Francoforte a Stoccarda, Gieseking rimase coinvolto in un incidente in cui perdette la vita sua moglie. Fu ricoverato e ritorno ad essere quello di prima e, nel giro di tre mesi, riprese le sue tournée e le incisioni di dischi. Oltre alla registrazione completa di Mozart, effettuò anche quella dei lavori per piano di Debussy e Ravel. Nell’autunno del 1956 s’imbarco in una serie ambiziosa di sedute di registrazione a Londra in cui doveva incidere musica di Schubert e tutte le sonate di Beethoven. In sei giorni e mezzo completò l’incisione di sei longplays; agli amici sembrò che fosse nelle migliori condizioni di salute e in gran forma artistica. Al settimo giorno delle registrazioni fu improvvisamente colpito da una infiammazione al pancreas. Mori nell’ospedale di Londra dopo avergli praticato un’operazione. Era il 26 Ottobre 1956, proprio dieci giorni prima del suo 61° compleanno.

Sonata N. 12 in Fa maggiore, K. 332
Di quella serie di cinque Sonate composta a Parigi nel 1778 questa e la quarta. Come le sorelle, ad eccezione della prima, cupa e tetra, anche la K. 332 e notevole per profondità e ricchezza lirica. E’ senza dubbio la più conosciuta e anche quella che sta al di sopra delle altre: la sua originalità non ha riscontro in nessuna sonata precedente. Pur tuttavia è la sonata mozartiana meno ambiziosa. Parlando dell’opera strumentale di Mozart, Schonberg disse una volta che essa dimostra nel suo autore la stessa capacità di tutti i compositori di opera buffa, cioè di aggirarsi in uno spazio piccolissimo. La Sonata N. 12 é la miglior dimostrazione di tale affermazione: tanto nel primo che nell’ultimo movimento la musica presenta dei costanti mutamenti di carattere, spesso senza alcun preavviso, ma sempre convincenti. Per il suo debutto la K. 332 si avvicina molto a un’altra grande sonata mozartiana, la K. 570: in entrambi i casi il tema iniziale é formato di due enunciazioni separate, la seconda delle quali molto interessata ad arginare la chiave principale alla quale resisterà fino ad esserne travolta. Il tema principale potrebbe essere considerato come una formula di accompagnamento che precede l’enunciazione della melodia di un cantante o di un violinista. E l’impatto che attendeva la seconda enunciazione non si fa attendere. Arriva sotto forma di un’improvvisa esplosione di Re minore che Mozart ha segnato forte perché non siano fraintese le sue intenzioni; effettivamente, tutto il passaggio che segue ha una furiosa insistenza che ricorda il primo Beethoven. Il tuono finalmente cessa e il secondo tema arriva a passo di danza ma senza grande rilevanza. E’ melodico e lirico quanto il primo, in forma di serenata e con accenni ai corni e ai legni dell’orchestra. Improvvisamente ci si sente presi e scaraventati a teatro nel bel mezzo di un entusiasmante finale di opera buffa. Il terzo tema non tarda ad apparire, lirico come gli altri due; poi, alcuni spavaldi trilli e sforzati, sempre. di carattere operistico, portano l’esposizione alla sua fine. Per iniziare lo sviluppo si ritorna a un tema lirico di minuetto più incantevole dei precedenti se ciò fosse possibile. Per finire lo stesso sviluppo si deve tornare al teatro d’opera. In questo movimento c'è la distruzione completa di ogni ‘ idea di forma-sonata perché s’impara invece che la forma e ciò che la musica fa. Lo sviluppo per esempio: può essere cominciato con l’elaborazione di ognuna delle sette idee che appartengono all’esposizione. Mozart invece le ignora tutte e ne aggiunge una nuova per continuare la transizione dal secondo al terzo tema. Volendo considerare K. 332 come un tutto esso costituisce la più sensazionale azione reciproca fra minore e maggiore. Succede sovente nel primo movimento, nella modulazione che conduce alla ripresa per esempio, e colora in tal modo tutto l’Adagio, un’anticipazione dello stile del Chopin più avanzato, che si può considerare un po’ come un’aria cantata da una delle più nobili e sofferte eroine operistiche mozartiane. In realtà si può definire più dignitoso che profondo. E' svolto in forma sonata ma senza brano di sviluppo. Nell’ultimo movimento tanto il terzo tema quanto l'inizio dello sviluppo sono in minore. E lo sviluppo ha carattere torrenziale. Anche il cielo sembra schiarirsi quando interviene quel tema celestiale in Si bemolle. Tutto é impostato su mutamenti imprevedibili e innumerevoli, più che nell’Allegro iniziale. Notevole é il contrasto fra il primo soggetto in forma di toccata e le periodiche liriche fioriture. Dopo il secondo tema, che termina come un mormorio, Mozart conduce a una serie di accordi che risuonano alti in Re minore quando pero questo tema ritorna nella ripresa gli accordi si rompono molto presto. E' evidente che Mozart voleva riservare il resto del tema come una quieta e poetica conclusione del1’intero movimento. Per questo la brillantezza, l’impetuosità, il liricismo e il potere drammatico sono tutti alleati in uno straordinario Allegro assai da considerasi quasi come un rondò presentato in forma sonata.

Otto variazioni in La maggiore  Su “Come un agnello”, K. 460
Per quanto riguarda le variazioni Mozart non si preoccupò di costruirvi qualcosa di veramente suo; infatti quelle maggiormente interessanti sono le variazioni composte su tema già bello di per sé: per le Variazioni K. 460 ne scielse uno di Sarti. Nei primi giorni dell'estate 1784 Paisiello e Sarti andarono Vienna. Mozart sembra aver conosciuto il primo e del secondo cosi scrisse a suo padre: “E’ un onest’uomo. Ho suonato a lungo per lui e ho composto delle variazioni su una sua aria che gli piacquero enormemente”, Negli che seguirono sembra che Sarti non rimanesse altrettanto soddisfatto davanti ai Quartetti per archi di Mozart 0 che lo si udì dire di certe progressioni che “potevano soltanto essere state scritte da un suonatore di pianoforte non conosceva la differenza fra il Re diesis e il Mi bemolle”. Le variazioni di cui Mozart parla nella sua lettera costituiscano il K. 460 e sono basate su un’aria tratta dall’opera di Sarti Fra i due litiganti. La stessa aria riappare nel secondo finale del Don Giovanni come uno dei motivi popolari del giorno. L’aria di Sarti é resa incantevole e vitale da Mozart nella azione N. 2, la ricopre con un brillante scroscio di semicrome nelle variazioni 1 e 3, la rimanda ai bassi nella quinta variazione e inizia la sesta come un esercizio di gala incrociando la mano sinistra sulla destra. Improvvisamente perde la pazienza: lascia il debole sentiero tracciato da Sarti e indulge in un’espansione tanto attesa in Mi maggiore: una cadenza. La musica muta da ¾ al tempo comune e quindi comincia uno straordinario movimento Allegro che quasi non rientra più nello schema della variazione: corre per diverse pagine con una sezione contrastante in La minore e si chiude con una cadenza da concerto. Si arriva cosi alla Variazione N. 8 che torna alla struttura delle sedici battute del tema; in realtà si tratta di ben tre battute in una sola: un Adagio in La maggiore, altro Adagio in La minore che trascende Sarti cosi come Beethoven faceva con Diabelli e un Allegro che si de con una breve fioritura di ottave segnate pesante.

Sonata N. 15 in Do maggiore, K. 545,
Pubblicata dopo la morte di Mozart, costituisce il pezzo forte di tutte le orchestre jazz. Se questa Piccola Sonata per principianti non portasse la data del 26 giugno 1788, si potrebbe supporre quando fu scritta. L’inizio del movimento in realtà è molto simile all’aria “Dalia sua pace”, composta da Mozart nell’aprile 1788 per la produzione viennese del Don Giovanni; il Rondò invece è in stretto contatto con il finale della Sinfonia K. 543, come dice Saint-Foix . Ma anche senza aiuti di questo genere può dirsi che la K. 545 è un lavoro del tardo Mozart perché mostra il suo autore alle prese con semplici risorse, ma ugualmente capace di scrivere musica simile a quella della sua più alta maturità. L’allegro con cui si apre la Sonata comincia con una frase amorevole, come il primo verso di un sonetto di Shakespeare e alla battuta 13 la mano sinistra prepara il terreno un altro breve volo di melodia. Per il resto si trovano soltanto scale e accordi spezzati finché Mozart non comincia la ripresa in sottodominante Fa maggiore. Grieg, che aggiunse una parte per un secondo piano a quattro sonate di Mozart, arrivato alle prese con la Sonata K. 545 cercò di trasformare l’intero movimento in una melodia continua. Nella stesura originale il primo e il secondo movimento occupavano quattro pagine ciascuno, mentre il terzo si svolgeva soltanto per due pagine. Si sa che il movimento e é sempre tecnicamente il più impegnativo; riducendolo a sole due pagine Mozart intendeva forse di non voler affaticare troppo i suoi allievi con brani rapidi a scapito dell’equilibrio. Con l’Andante in Sol maggiore l'aria e diversa. E' una serenata in cui la melodia continua a fluire su un basso di Alberti che sosta soltanto 14 battute in tutto il movimento. In nessun’altra sonata c’è un uso di tale basso cosi consistente e con un effetto cosi perfetto. Le sezioni contrastanti in Re maggiore e in Sol minore hanno entrambe delle bellissime progressioni, specialmente in quei due momenti delle battute 20 e 41 quando i bassi si muovono in discesa attraverso la scala. Il Rondò finale é come una punizione inflitta a scuola su allievi dodicenni. Comunque e un delizioso e sottile movimento che Mozart stesso riscrisse in certi dettagli e incluse. più tardi nella sonata in Fa maggiore, K. 547a.

Dodici variazioni in Mi bemolle maggiore sull’aria “Je suis Lindor”, K. 354
Nel 1778, quando Mozart arrivo a Parigi, nella capitale francese dominavano due forme d’intrattenimento molto alla moda. Il pubblico, non completamente soddisfatto di ascoltare un solista unico, aveva introdotto la mania per i lavori in cui due o più virtuosi suonavano assieme. Mozart stesso cedette al gusto imperante e scrisse una Sinfonia concertante per quattro virtuosi che non fu mai eseguita. L’altra mania del pubblico parigino era quella per le variazioni e Mozart ancora una volta si adoperò per risultare gradito ai francesi scrivendo parecchi di questi lavori basandoli sempre su melodie francesi. Per questa serie di variazioni scelse una delle più popolari melodie del giorno, la serenata cantata dal Conte di Almaviva nel primo atto di ll Barbiere di Siviglia di Beaumarchais in cui si dichiara fedelmente a Rosina: “Io son Lindoro, la mia nascita é comune”. La musica era, ancora una volta, di Nicolas Dezede. Sarebbe difficile voler citare un altro lavoro per pianoforte di Mozart che abbia la stessa ricchezza strutturale e la stessa straordinaria tenera espressività. E nessuna che contenga tanti pezzi importanti, cioè, esercizi per entrambe le mani che suonano ottave spezzate o un sostenuto e rapido tremolo. Un tremolo che va dettagliatamente considerato. Nella Variazione N. 9 suona molto brillante nella mano destra, ma quando muove verso i bassi nella Variazione seguente l’effetto che ne deriva e cosi drammatico da essere immediatamente rimandati al primo movimento della Sonata in Si bemolle, Op. 22 di Beethoven. In altre parole, ciò che colpisce della variazione é il suo carattere piuttosto che le tecniche che dispiega. E anche altre variazioni sono effettivamente pezzi di carattere. La N. 7, per esempio, suona come accompagnamento ad una nobile processione mentre la N. 12 é un minuetto più intimo di quelli propri delle sinfonie e ben più maestoso di molti minuetti per pianoforte. Questo perché, come tanta altra musica di Mozart, viene dall’opera: é abbastanza facile vedere il palcoscenico e i momenti di danza. Altre sorprendenti variazioni sono la N. 4, dove c’è un esercizio unico d’incrocio della mano sinistra sulla destra, e la N. 8 in minore, delicatamente in contrasto con i larghi movimenti della N. 7 invece di produrre un clima espressivo come ci si aspetterebbe. La N. 8 é anche la Variazione più libera di tutte perché e l’unica che si allontana dalla linea del tema. La fine del lavoro é piuttosto sorprendente. Finisce con una breve cadenza segnata Caprice.

Fantasia in Do minore, K. 396
Scritta a Vienna nel 1782, è anche conosciuta come un Adagio. Per Mozart probabilmente doveva essere il primo movimento di una sonata per violino e pianoforte che segui pero la sorte di altri venti lavori, tutti iniziati nel 1782 e mai finiti. Per quanto se ne possa sapere, Mozart scrisse in realtà soltanto l’esposizione alla quale l’Abate Stadler aggiunse lo sviluppo e la ripresa trasformando anche tutto il pezzo in un brano per pianoforte solo. Si tratta di un’opera solida e imponente, scritta in una ben definita forma-sonata; il materiale ornamentale è subordinato a esigenze di un argomento musicale ben determinato. arricchita quale contropartita del primo movimento. L’inizio e cosi grande e cosi stravagante che forse non si potrebbe avere una miglior prova dello stile attuale di Mozart: arpeggi che si arrampicano in alto, audaci cromatismi che guidano a scontri sostenuti seguiti da un momento di silenzio per lasciare che la musica sprofondi nel Mi bemolle. Qualcosa di simile succede alla battuta 95 nel movimento lento del Concerto per pianoforte in Sol maggiore, K. 453; invece le scale ascendenti in terze che seguono non hanno riscontro in nessun'altra musica mozartiana. Saint Foix parla di Clementi a questo punto, ma c’è anche qualcosa della Sinfonia N. 7 di Beethoven in queste scale e anche un cenno di Strawinsky. Si arriva in tal modo allo sviluppo veramente potente e totalmente mozartiano, sebbene l’elaborazione generale possa apparire un tantino troppo patetica, il disegno degli accordi spezzati in seste produca una molesta densità e l’ultima pagina, con il suo ritmo incessante e punteggiato illanguidisca un po' l’ispirazione. Come nella ripresa, essa é una fotografia sbiadita dell’esposizione. Ma comunque sarebbe un errore non includere la Fantasia in Do minore in una registrazione dei lavori pianistici mozartiani.

Sonata N. 10 in Do maggiore, K. 330
Era la preferita del pubblico parigino, anche nei confronti della Sonata in Re. Confrontandola con la sua immediata precedente in La minore, K. 310, la Sonata in Do maggiore é un lavoro senza ambizioni. Semmai un raffronto si può fare tra il movimento lento e le sue incursioni nella tonalita minore, La musica di K. 330 fluisce tranquillamente senza essere guidata da un potere inflessibile, la scrittura pianistica e più intima che orchestrale, dimostrazione evidente che non tutto Mozart e agitato o allegro. La mano sinistra, cosi eloquente in K. 310 esegue qui una singola melodia dall’inizio alla fine. Eppure è una sonata interessante, originale in molti aspetti del disegno e con movimento lento di bellezza profonda; e senza dubbio tra le migliori, non tanto perché ci siano delle vette formali ma piuttosto perché il germogliare e lo scorrere d’idee é ininterrotto, idee calde di chiarezza e incisività cristalline che evitano ogni e qualsiasi punto morto. L’Allegro moderato di apertura ha tre distinti temi che si susseguono senza rivalità o contrasti drammatici; alcune fresche frasi melodiche si estendono cosi liberamente e spontaneamente che anche la continuazione del secondo tema é come un verso separato con il suo proprio carattere indipendente. Segue quindi un sorprendente sviluppo dove non c’è riferimento a nulla che sia stato ascoltato nell’esposizione: c'è soltanto uno stretto legame con la cadenza conclusiva dell’esposizione che diventare il brano della coda. Totalmente inatteso e il modo in cui Mozart conclude questo movimento riportando la prima frase dello sviluppo su un pedale tonico. Nello scrivere il movimento lento Mozart pensava senza dubbio al suono prodotto da un insieme di strumenti a fiato; la stessa regola é applicabile anche all’Andante cantabile del K. 333 e all’Adagio del K. 570. Questa ispirazione la si può trovare in parte nel testo, in parte nella costruzione dei punti massimi e in parte in quei dettagli come la nota ripetuta nel basso (corno o fagotto) nella sezione in minore, anche il carattere generale della musica può far pensare agli strumenti ad arco data la sua eloquenza ma senza molta intensità nervosa. In effetti, c’è soltanto un tema in questo Andante e lo si scorge in diversi e contrastanti momenti. Come per il primo movimento la fine è inattesa e bella. Quando la prima parte del tema ha cantato per la seconda volta, ritorna la seconda completamente trasformata e in maggiore. Infatti il tema, in forma ternaria, ha due parti identiche in Fa maggiore tra le quali s’interpone una in Fa minore. Nessuna variazione o elaborazione quando ritorna la parte del tema in maggiore, il che conferisce al movimento una particolare efficacia; sembra che Mozart avesse pensato alla prima enunciazione della parte in maggiore di assoluta perfezione e qualsiasi deviazione avrebbe solo potuto sciuparla. L’Allegretto e un movimento di sonata sebbene il suo tema principale rassomigli piuttosto a quello di un Rondò, armonioso e autocontenuto. Si trova anche qui, come nel primo movimento, una ricchezza di diverse melodie. E’ lo sviluppo introduce altro materiale. Questa volta incomincia con una melodia in Sol maggiore che può quasi appartenere a Papageno. L’interesse del Sol maggiore, la dominante, sta nel fatto che sembra essere un’abitudine di Mozart per evitare questa relazione all’inizio dello sviluppo, a meno che, come nel presente caso, il materiale non sia completamente nuovo. Alla regola ci sono delle eccezioni, meno pero di quante se ne possa pensare.

Rondò in Re maggiore, K. 485
Scritto a Vienna il 10 gennaio 1786 per un suo allievo, trae il suo tema dal secondo soggetto del Quintetto in Re di Johann Christian Bach. Si differenzia dalle altre opere del genere nelle quali il tema principale appare sempre nella tonica (esempio tipico é il Rondò K. 309) perché proprio quel tema principale entra qui in tutte le chiavi possibili: Re, La, Sol, Re minore, Fa, Si bemolle. Addirittura può anche sembrare che non ci sia un tema principale dato che non ci sono episodi e assolutamente nessun altro tema. Il Rondò in Re maggiore e, in realtà, un movimento di sonata basato su un singolo tema e successivi segni alla fine dell’esposizione, uno sviluppo chiaramente definito e una ripresa che si guida da sola con un incurante abbandono. Ecco forse la ragione per la quale Mozart ha scelto un titolo cosi modesto. Il tema di K. 485 era già apparso in un altro lavoro di Mozart, il Quartetto in Sol minore per pianoforte, con un effetto talmente bello che si può credere di ritrovarlo qui quando c’è un pensiero che entra dopo un solenne passaggio, una frase che attraversa l’aria. La tecnica impiegata da Mozart e quella di Carl Philipp Emanuel Bach con i frammenti occasionali del tema che emergono inaspettatamente. Nel lavoro ci sono parecchi dettagli non ortodossi: le due scale cromatiche in terzine alle battute 110 e 123 ognuna delle quali si avvicina all’entrata del tema che segue in linea retta e senza nessuna mescolanza di scala diatonica e cromatica come si trova generalmente nelle brillanti transizioni mozartiane di questa specie. Un altro affascinante dettaglio é il basso a boogie-woogie , della fine che guarda al finale del Trio in Si bemolle, K. 502 nel quale Mozart offre tutto un festival di boogie.

Sonata N. 7 in Do maggiore, K. 309
Di questa sonata ne parlava Mozart in una lettera a suo’ padre dicendo di averla eseguita durante il concerto tenuto ad Augsbourg il 22 ottobre 1777. “Una sonata magnifica” egli aggiungeva, “con un rodò pieno di fuoco come conclusione”. Questa e la K. 311, entrambe del 1777, segnano una fase nuova nella scrittura pianistica di Mozart derivata forse da due importanti influssi: il suo incontro con Andreas Stein, lo Stradivarius dei costruttori di pianoforti e la conseguente esperienza acquisita nel suonare sui suoi strumenti; l’altro fu la sua visita a Mannheim e l’opportunita di ascoltare la famosa orchestra di quella città sotto la guida di Cannabich. Proprio per la figlia del direttore di Mannheim Mozart scrisse questa sonata e il completo ritratto del carattere della ragazza, secondo quanto disse lo stesso Mozart, é tutto contenuto nel movimento lento della K. 309. Sebbene si tratti di un lavoro relativamente giovanile la 1 Sonata in Do maggiore è messa fra le migliori di Mozart. L’influenza tratta dalla sua vita a Mannheim si vede subito ne1l’inizia1e “unisono orchestrale” e nel contrasto drammatico della frase di risposta. Non ha la perfezione della K. 330 ma il suo vigore contrasta piacevolmente con l’eleganza di quella. Specialmente nel primo movimento la mano sinistra ha un’importanza eccezionale. L’influenza di Mannheim su quest’opera non é cosi intensa Come potrebbe credersi, Abert sottolinea il fatto che Mozart non cerco di imitare il noto crescendo di Mannheim, un espediente che a volte eccitava a tal punto l’auditorio che molti ascoltatori balzavano in piedi e singhiozzavano senza ritegno; comunque a voler ben guardare nella prima pagina del K. 309 si trova un influsso orchestrale negli accordi ripetuti con tensione dalla mano sinistra, nei passaggi staccato che lentamente si arrampicano ed evocano lo smalto degli archi nel più espressivo impatto di ogni frase. Non mancano i momenti di affettazione come nel secondo tema del primo movimento; non cosi lo sviluppo pero dove l’unisono orchestrale riceve risposta da una nuova frase di tale romantica intensità che accende ogni cosa nel grande passaggio con accompagnamento di semicrome nella mano sinistra alle battute 73-78, Appena cominciata la ripresa la musica divampa ancora con una versione in Do maggiore del tema principale che può quasi dirsi appartenente al K. 457. Poi i ruoli delle mani si invertono. ll movimento lento in Fa maggiore comincia con una pagina, e forse più, di ripetizione con variazioni; ma il tema ha una tale delicatezza di ritmo e freschezza di contorni che non stanca mai. Non manca una contrastante sezione in Do maggiore più sostenuta del tema principale, più canzone che danza. Se questo Andante un poco adagio voleva essere il ritratto di M.lle Cannabich la ragazza doveva essere veramente incantevole nonostante le sue reazioni imprevedibili come lo attestano i temi del movimento, sempre variati con incessanti cambi di dinamica, parte integrante dello stile di Mannheim. L’ultimo movimento mantiene il livello degli altri ed e più grande del Rondò della Sonata in Re maggiore, K. 311; del resto questo sta ad anticipare, con le ampie transizioni e i passaggi di terzine il più ampio dei rondò di Mozart, quello del Concerto per pianoforte in Do maggiore, K. 503. Come nell’Andante che ritrae M.lle Cannabich, le figurazioni non sono mai convenzionali; sono parte dell'esuberanza generale che si esaurisce nei triplici passaggi e nei clamorosi tremoli, evocazione dell’orchestra di Mannheim. La miglior linea per un movimento cosi ampio e brillante sarebbe una completa enunciazione del tema principale piuttosto in basso nella tastiera. E questo é quanto Mozart elabora: un Allegretto grazioso che finisce in pianissimo.

Otto variazioni in Fa maggiore  sulla marcia dall’opera di Grétry  “Les mariages samnites”, K. 352
La chiave originale di questa marcia scritta da Grétty é il Mi maggiore ma Mozart la innalzo a quella di Fa, la stessa chiave su cui è composta la marcia dei sacerdoti in Il flauto magico. Pertanto il tema diventa nobile e il dettaglio più drammatico é una scala ascendente verso la fine. Mozart s’impadronisce di questa scala e nella Variazione N. 3 la porta oltre il suo vertice originale mentre nella N. 4 ascende cromaticamente in terze in continuo contrasto con i bassi. La Variazione N. 5, quella in minore, é come un pezzo di musica da camera per archi e ha una frase nella prima- meta che presagisce il Quintetto in—Sol minore, L’elaborazione di Mozart é seria dall’inizio alla fine, sia pure nella Variazione Allegro che non si chiude fioritamente. Forse è una semplice combinazione che le prime due battute della marcia di Grétry guidino naturalmente a reminiscenze delle Variazioni nella Sonata per pianoforte in La maggiore. In realtà la somiglianza é cosi forte da non poter ascoltare K. 352 senza pensare a K. 331: ottave spezzate, trilli, incroci di mani sono fondamento in entrambi i lavori.

Capriccio in Do maggiore, K. 395
Per Kochel questo Capriccio risale al luglio 1778. Saint-Foix conferma quando identifica la composizione con quel piccolo Preambulum che Mozart invio alla sorella Nannerl il 20·luglio di quell’anno in occasione del suo onomastico. C’è anche un’ulteriore riprova, sebbene molto debole: Mozart usa la parola caprice per la sezione di improvviso che comincia alla battuta 7, cosi come egli aveva fatto in un caso simile alla fine delle Variazioni sull’aria ]e suis Lindor datate quasi della stessa epoca. Comunque il K. 395 sembra differenziarsi da qualsiasi altra opera scritta da Mozart a Parigi in quell’estate del 1778. Per Abett dimostra l’influenza sia di johann Sebastian che di Carl Philipp Emanuel Bach. Del primo si trovano tracce nelle imitazioni della parte iniziale e in certi modelli figurativi dell’Allegro assai; Carl Philipp Emanuel si ritrova invece egli improvvisi mutamenti di umore, nel grande uso di accordi diminuiti e soprattutto nel disegno, Allegretto, Andantino, Capriccio (Allegro assai) con la sezione lenta nel mezzo disturbata da ventate di terze e ottave in tempo rapido. Se si vuol pensare a questo pezzo collocato in una data posteriore al 1778 ci si può avvalere della bella e insolita progressione delle battute 41-43. Lo stesso succede nel primo movimento della Sonata per violino del 1781 e cosi pure nella Fantasia in Do maggiore, K. 394 del 1782. Il Capriccio è un brano leggero, incorporeo, spumeggiante i cui illogici grotteschi solleticano piacevolmente l’orecchio senza chiedere troppo all’immaginazione.

Otto Minuetti con Trio, K. 315a
Composti a Salisburgo probabilmente all’inizio del 1779 non sono certo da mettersi accanto alle Danze tedesche ma contengono comunque alcune pagine di musica deliziosa. Entro i loro limiti ristretti mostrano una straordinaria varietà di stile, specialmente da un punto di vista ritmico. Mozart sembra piuttosto soddisfatto dei modelli all’inizio del primo Trio e del secondo Minuetto perché usa ciascuno di essi per ben due volte più avanti. Quello che rimane poco chiaro è se egli intendesse queste danze come musica per pianoforte o se il K. 315a non sia piuttosto un arrangiamento di una versione orchestrale andata perduta. A giudicare dagli schemi, dal carattere dei bassi e dalla povertà di certa scrittura, la seconda ipotesi sembrerebbe la più accettabile. Gli arrangiamenti per pianoforte della più recente musica orchestrale di danza erano molto popolari a quell’epoca, ma evidentemente dovevano essere di gran lunga più facili da suonare di un autentico lavoro per pianoforte. Lo si vede nello stesso arrangiamento di Mozart del K. 509 dove il trasferimento da uno strumento all’altro é un totale capolavoro ma dove ci sono anche alcuni momenti in cui la partitura orchestrale e “ridotta” a un minimo di note; Mozart deve aver pensato ai suoi allievi in questi punti i quali non sarebbero stati in grado di eseguire un arrangiamento più brillante. Pure convenendo che il K. 315a sia una “riduzione” per pianoforte come il K. 509, non è ancora evidente il periodo in cui fu scritto. Alfred Einstein punta sul 1779 0 il 1780. Ma é stato dimostrato, d’altra parte, che il Trio IV e quasi identico all’inizio dell’Andante del Concerto per pianoforte K. 414 conposto nel 1782. Il quarto Minuetto è interessante per le sue improvvise e secche frasi durante le quali l'esecutore potrebbe benissimo fare una pausa ogni due battute senza pregiudicare il senso musicale; seguono poi le linee sostenute del N. 5, le cui prime otto battute sono un tutto che non si può interrompere in alcun punto. Questo é anche l’unico Minuetto la cui prima nota abbia la lunghezza di un’intera battuta: l’effetto che ne deriva é di grande dignità e ampiezza. Da notare anche il piacevole slancio discendente che segue le due note lunghe dell’inizio. Nel N. 7 sono notevoli i ritmi delicatamente in conflitto nelle battute 3 e 4.

Movimento di Sonata in Si bemolle maggiore, K.400
Nessuna sonata per pianoforte incrementò la produzione mozartiana fra il 1778 e il 1784; il compositore ci lascio pero questo movimento in Si bemolle, Allegro, come perfetto esempio del suo primo stile viennese in cui vivacità e tenerezza si battono per conquistare ima supremazia che nessuna riuscirà ad avere. Gli studiosi di Mozart sostengono che questo movimento fu scritto nel 1781; a riprova di ciò si rifanno all'estate di quell'anno quando Mozart era ospite della famiglia Weber a Vienna. Trascorreva il tempo “oziando e divertendosi” come scrisse a suo padre in una lettera del 25 luglio e s’innamoro di entrambe le figlie dei Weber, una dopo l’altra. Sposò Costanza nel 1782 ma il suo primo amore era stata Sofia che gli rimase sempre devota e alla quale dobbiamo il più commovente racconto degli ultimi giorni di Mozart, racconto fatto a von Nissen in una lettera del 1825. L’amore che Mozart nutriva per entrambe le donne traspare anche dal K. 400: subito dopo l’inizio dello sviluppo ci sono due successive frasi di carattere completamente sentimentale; su una di queste Mozart ha scritto il nome di Sofia, sull’altra quello di Costanza, due nomi che ci riportano quindi all’estate del 1781. Ma, anche se non ci fosse questa prova, l’anno sarebbe sempre quello dato che il K. 400 ha parecchio in comune con molte delle sonate per violino composte in quel periodo. Addirittura molti passaggi di questo Movimento in Si bemolle appartengono più al violino che al pianoforte e, al tempo stesso, ci sono quelle espansioni di brillanti figurazioni che si richiamano direttamente ai concerti per pianoforte del 1784, ad esempio il K 450. La differenza fra Mozart e un compositore ordinario può essere rilevata proprio dal tema principale del K. 400. Nulla potrebbe essere più gaio e intimo che il suo primo inizio; si arriva pero poco avanti: alla quarta battuta interviene l’ombra del Sol minore e il tempo seguente riesce difficilmente a partire quando deve superare un violento accordo diminuito che gli sbarra la strada. Nello sviluppo comincia in Fa ma è trascinato verso il Sol minore, quasi una preparazione per quel passaggio che tanto rassomiglia al K. 379. Interviene anche un momento di sereno e di ardente bellezza: la chiusura del tema dell’esposizione, una meta mai raggiunta in questo modo in nessuna sonata precedente o a posteriore. Mozart non completò il movimento: arrivo un po’ oltre la fine dello sviluppo e l'Abate Massimiliano Stadler aggiunse poi la ripresa nel modo più convincente perché copiò la esposizione nota per nota senza aggiungere nulla di suo.

Movimento di Sonata (Allegro) e Minuetto (Allegretto) in Si bemolle maggiore, K. 498a (K. ANH. 136)
Questi due movimenti, primo e terzo di un’opera in quattro movimenti, furono pubblicati come parte di un curioso pour-pourri che comprendeva un arrangiamento dell’Andante di K. 450 e un finale basato sul materiale tratto da K. 450, da K. 456 e da K. 595, tre concerti che hanno in comune la chiave di Si bemolle, l’autore di questi arrangiamenti fu Auguste Eberhard Milller che nel 1804 divento cantore della Thomasschule e pubblico anche un libro sull’interpretazione dei concerti per pianoforte di Mozart. Davanti al K. 498a sorge il dubbio che Miller abbia messo mano anche nell’Allegro di apertura: assieme a parti magnifiche ci sono infatti certi passaggi che sembrano un po’ fuori luogo, come se fossero interpretazioni di Mozart piuttosto che cose autentiche. Rimane comunque un pezzo entusiasmante, notevole per quella sua concentrazione sincera nel tema principale e soprattutto nel gruppetto con cui il tema s’inizia. Per l’Allegro Mozart adotta lo stile più accademico senza perdere in spontaneità. Scrive una parte tematica per la mano sinistra e uno sviluppo che veramente porta avanti il materiale già enunciato nell’esposizione. La graziosa frase della mano destra che costituisce le prime due battute complete è presto ripresa dalla sinistra mentre nello sviluppo la stessa frase passa liberamente da una mano all'altra con accompagnamento di semicrome. Questo sviluppo ha una serietà e una solidità abbastanza insolite in Mozart: la prima meta della frase già citata, quattro note di uguale lunghezza, viene trattata in una sequenza ascendente della mano destra in un modo che ricorda molto da vicino Beethoven. Le sei note cromaticamente ascendenti che aprono il Minuetto sono identiche alla terza e alla quarta battuta del movimento corrispondente nel Quartetto d'archi in Sol maggiore. K. 387. Questo richiamo agli archi dimostra, con ulteriore evidenza, che il Movimento apparteneva probabilmente, come dice anche Einstein, alla serenata Eine kleine Nachtmusik. Il Minuetto é stato anche messo accanto al Quartetto in Re maggiore, K. 499, sia per la sua maestosità di movimento, sia perché la sua progressione diventa molto familiare subito dopo la doppia battuta. Il movimento lento sembra invece essere un’abbreviazione dell’Andante del Concerto in Si bemolle, K. 450.

Sei danze tedesche con Trio (Alternativo), K. 509
Quelle che si ascoltano in questa incisione non sono le originali Danze tedesche scritte a Praga nel 1787 bensì l’arrangiamento per pianoforte solo che Mozart fece tre anni dopo. In queste composizioni si rivela un po' la passione di Mozart per la danza; lui stesso diceva di essere migliore come ballerino che come musicista. Michael Kelly sostiene che la sua specialità nella danza era il minuetto nel quale si esibiva quando partecipava, abbastanza spesso, alle feste mascherate. Nel dicembre 1787 Mozart fu nominato compositore da Camera della Corte imperiale e il suo compito principale sembra essere stato quello di scrivere musica per i balli mascherati che giocavano un ruolo importantissimo nella vita sociale viennese di quel periodo. E` cosi che Mozart ha lasciato circa una ventina di spartiti di danze scritti fra il 1788 e il 1791, lavori che, anche oggi, sono tra i meno conosciuti del musicista di Salisburgo. Ed é un peccato perché sono opere che dimostrano come poteva scrivere musica meravigliosamente varia pure entro il limitato raggio di emozione e una struttura formale ristretta. Le Danze tedesche del 1787 si pongono al di fuori della serie ufficiale delle composizioni del genere e, sotto un certo aspetto, sono anche completamente diverse da tutte le altre: si sviluppano senza interruzione dall’inizio alla fine. E' interessante riportare le indicazioni che Mozart stesso scrisse sugli spartiti per una miglior esecuzione delle danze: “Nota: Ogni Teutsche (Danza tedesca) ha il suo Trio o, meglio, il suo Alternativo; dopo il Trio la Teutsche e ripetuta e quindi ritorna l’Alternativo poi si procede attraverso la transizione fino alla seguente Teutsche... Mozart”. Le transizioni sono una gioia di per se stesse, diverse come sono nella lunghezza e, ancor più, nel metodo e nel carattere. La N. 2 incomincia molto drammaticamente in minore; la N. 3 produce negli ascoltatori una delicata sorpresa essendo due battute più corta di quanto ci si aspetti; la N. 4 e all’opposto della N. 2 perché muove verso la tonalità minore prima della Danza che segue che s’inizia in maggiore; quindi la N. 5 si sviluppa dal precedente alternativo aggiungendo poi nuovi ed espressivi accenti. La stessa inventiva che serpeggia in ogni Danza la ritroviamo anche nel lavoro considerato come un tutto. Sebbene le Danze siano più ritmiche e gli Alternativi più intimi e delicati, ogni paio di Danze mostra un diverso contrasto fra energia e tenerezza. Dal quinto Alternativo in poi Mozart allunga le singole Danze da 16 a 24 battute facendo seguire una lunga coda che comincia come una fanfara e finisce, nella versione orchestrale, con una brillante ascesa di semicrome e un trillo nel piccolo. Nell’arrangiamento per pianoforte tutto ciò che Mozart ha lasciato è il silenzio e tre accordi conclusivi come coda. Con questo metodo Mozart voleva agevolare le esecuzioni dei dilettanti. In altri casi pero le revisioni avevano un'altra ragione; ad esempio, egli abbrevia subito la coda di due passaggi che non avrebbero avuto un sostanziale sviluppo nella versione per pianoforte mentre, per i1 loro colore e il loro ritmo lavoravano magnificamente nell’originale versione per orchestra. Ancora più sorprendenti sono le alterazioni che mantengono il senso drammatico della scrittura orchestrale pur evitando ogni difficoltà tecnica. Usando diversi espedienti Mozart riesce a suggerire ‘l’impulso ritmico originale sia pure sacrificando alcuni dei più bei dettagli. Per finire si può dire che la Danza tedesca e stata 1'immediata precorritrice del Valzer.

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